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pane nero 177

giumenta i suoi puledri; la piccina dentro le bisacce, sulla schiena, e la più grandicella per mano. Ma gli altri tre però era costretta lasciarli a casa, a far disperare la cognata. Quella della bisaccia, e quella che le trotterellava dietro zoppicando, strillavano in concerto per la viottola, al freddo dell’alba bianca, e la mamma di tanto in tanto doveva fermarsi, grattandosi la testa e sospirando: — Oh, Signore Iddio! — e scaldava col fiato le manine pavonazze della piccina, o tirava fuori dal sacco la lattante per darle la poppa, seguitando a camminare. Suo marito andava innanzi, curvo sotto il carico, e si voltava appena per darle il tempo di raggiungerlo tutta affannata, tirandosi dietro la bambina per la mano, e col petto nudo — non era per guardare i capelli della Rossa, oppure il petto che facesse l’onda dentro il busto, come al Castelluccio. Adesso la Rossa lo buttava fuori al sole e al gelo, come roba la quale non serve ad altro che a dar latte, tale e quale come una giumenta. — Una vera bestia da lavoro — quanto a ciò non poteva