di tabarro nel quale il ragazzo che custodiva il branco dormiva raggomitolato davanti la fornace. Lì vicino abitava una povera vedova, in un casolare più sgangherato della fornace del gesso, dove le stelle penetravano dal tetto come spade, quasi fosse all’aperto, e il vento faceva svolazzare quei quattro cenci di coperta. Prima faceva la lavandaia, ma quello era un magro mestiere, chè la gente i suoi stracci se li lava da sè, quando li lava, ed ora che gli era cresciuto il suo ragazzo campava andando a vendere della legna al villaggio. Ma nessuno aveva conosciuto suo marito, e nessuno sapeva d’onde prendesse la legna che vendeva; lo sapeva il suo ragazzo che andava a racimolarla di qua e di là, a rischio di buscarsi una schioppettata dai campieri. — Se aveste un asino — gli diceva quello del gesso per vendere l’asino di san Giuseppe che non ne poteva più — potreste portare al villaggio dei fasci più grossi, ora che il vostro ragazzo è cresciuto. — La povera donna aveva qualche lira in un nodo del fazzoletto, e se la lasciò beccare