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fiera. Il garzone, che per la prima volta vi trae, interroga curioso un vecchio, che ci veniva prima del 96, quando vi comparivano indemoniati strillando, e buli che deponevano alla soglia della chiesa la omicida loro carabina; che si ricorda quando i Giacobini in nome della libertà proibirono quella sagra, e quando Russi e Cosacchi, tornandoci cattolici, l’ebbero ristabilita; c’è venuto coi Francesi repubblicani, coi Francesi imperiali, ed ora seguita da vent’anni a venirci con cotesti, sperando venire coi loro successori.
Nel bosco e sul piazzuolo s’innalzano assiti e baracche, si spiegano tende, curvansi e intrecciansi i rami a pergole, a capricciosi frascati, si dispongono tavole, trespoli, sediuoli; è un mondo di gente, è un tremoto di faccende. Qui fierajuoli a sfoggiar mercanzia: là bettolieri a rosolare braciuole e friggere galletti: il buzzurro alessa e brucia le castagne primaticce: un gruppo di villani già mezzo brilli urlano a chi più i punti della mora: altri straziano costolette così guascotte, e le irrorano di aquavite, di vino, di mosto appena spremuto dall’uva non ben matura. La fanciulla compra un santino per la nonna devota: la nonna gingilli per ispassar il bambino quando il portano a mimmi; il becerume, bocca ed occhi spalancati, attende alle forze, o al bagatelliero che ha rimedj per tutti i mali e per altri ancora, o al cantanbamco che sul cartellone dimostra vita e morte del famoso Pacino, l’incendio di Mosca e l’inondazione del Danubio; o a qualche, Orfeo che, strimpellando la ribeca o raschiando un violino, attira le pietre. La chiesa, che fu già occasione della festa, è la meno che si visiti: in quella