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certo ad insultarci là dentro: ad ogni caso, per fare il bizzarro con noi vogliono essere altre barbe che la sua. I servitori che sono lassù n’avranno di grazio a tenerci il sacco; se no, sapete come si fa. Quanto a cotesti villanzoni, anime di Sambuco, da me ne fo stare un centinaio. Poi colle bolgie ben in assetto e i nostri tromboni sul braccio, ce n’infischiamo di mezzo mondo».
Gli altri ad applaudire alle costui trasonerie; e fra tali smargiassate seguitavano la strada, concertando futuri delitti.
Nel bosco frattanto, attorno a don Alfonso erasi fatto il solenne silenzio che succede presso a chi sta sull’orlo del sepolcro. Donn’Emilia aveva ammaniti dei pannolini per fasciare la ferita: il vincitore, proteso in sulle mani giunte e a capo chino, lo contemplava in atto e con parole di sentita compassione: Cipriano gli sorreggeva la vita perchè stesse meno a disagio: — quel Cipriano che testè aveva tremato al superbo cipiglio di lui, ora ne sorreggeva la cascante persona, alitandogli sulla fronte ed esclamando — Poveretto»; nel mentre che la Brigita col grembiule gli tergeva il gelato sudore, e venivagli dicendo: — Si ricordi del Signore: si raccomandi alla sua misericordia che è infinita: faccia l’atto di contrizione: risponda col cuore alla Salve Regina che io reciterò».
Oh soperchiatori!
Ma don Alfonso, sentendosi venir meno la vita, accennò che lo portassero appiè del tabernacolo. Ivi, levando le mani e gli occhi ondeggianti nella vicina morte verso l’effigie divota, — Ho profanato (diceva con debole e stanca voce), ho profanato il