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appena. Con meraviglia però incontrava un ostacolo, e s’avvide del giaco onde il feudatario aveva difeso il petto. Poco mancò che questo accidente non gli costasse la vita: perocchè il nemico, intento al proprio vantaggio, colse quell’istante per drizzargli alla testa una stoccata, che fece gelare di spavento le donne spettatrici. Se non che il Sirtori, stomacato di simile slealtà, e vistosi la morte a un pelo, fu pronto a togliersi la botta sul filo dritte del pugnale, e nel parare istesso, spinto innanzi il piè manco, gli pigliò il braccio per di fuori in guisa che d’un rovescio gli trafisse il collo.

Barcollò, cadde l’Isacchi: ma nello stramazzare gridò A noi, che era la parola concertata per l’assalto. All’intenderla, il guardacaccia a sbalzi lanciossi contro don Alessandro esclamando — Assassinio, Assassinio»; i tre in agguato sbucarono, sebbene con impeto minore: anche gli altri cacciatori parvero mettersi sulle offese. Cipriano, cedendo a quel primo moto che nei caratteri aperti previene la riflessione, era balzato dal suo asilo, sventolando il cappello e gridando a tutta gola: — Evviva! è morto; morto l’Orso»,

Che l’ammazzare un altro, quant’è glorioso, altrettanto sia piacevole, nol credo: ben so che, al vedersi davanti un essere che dianzi pensava, parlava, operava, e che ora, per opera sua, trovavasi vicino a diventare un pezzo di materia, pastura di vermi, il nostro don Alessandro rimase qualche tempo in un’attonitaggine, che sarebbe potuta riuscirgli funesta, giacchè lo lasciava esposto alla prima furia del guardacaccia. E questi gli si scagliava addosso; se non che Cipriano, pentitosi all’istante