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diceva di rimando: — Qualunque altro, ed in qualunque altro luogo si pentirebbe tardi d’avere intaccato la lealtà d’un par mio. Qui però, se ben vedo, non si tratta di giustizia; nè conosco legge o costumanza al mondo, che permetta di rapire una ragazza e di violare un luogo consacrato. No, finchè io sappia tenere un’arma in mano non permetterò mai che, dove io sono, si commettano soperchierie».
— Soperchierie?» sclamò l’altro nel colmo della furia. «Anzi soperchieria fai tu, arrogante fanciullo, a pretendere ch’io ti renda ragione del mio operare. Tu hai smentite le mie parole come fossero quelle d’un villano: ti ricambio la mentita e ti chiamo codardo e sleale, e te lo sostegno con l’armi. Mettiti in parata, che mi sento cuore di farti provare come ferisca questa punta, che da un pezzo ha sete del tuo sangue».
Che il disegno dell’Isacchi fosse tutt’altro che di suscitare un alterco, abbastanza appare dalle precedenti disposizioni. Ma queste gli rimanevano scompigliate, sì dal trovarsi lontano dal posto dell’agguato, sì dall’avere intorno troppa gente per celare il fatto quanto fosse duopo alla impunità.
L’ammazzare, insegna la legge di natura e di Dio, è sempre delitto: l’ammazzare in duello, insegna il mondo, è non solo lecito, ma lodato da quel punto d’onore, virtù di parata, che può associarsi a tutti i vizj e fin colla codardia.
Don Alfonso dunque, vistosi presentare il destro di riuscire al suo intento con un duello, spinse la provocazione sino al punto di farla nascere, si perchè sitibondo più che mai di sangue in quell’im-