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co, pareva gli guastassero il disegno: poi chinatoci all’orecchio del guardacaccia, gli susurrò: — Sarà tua cura avvinazzare gli uomini di costui».
Il bravaccio rispose inchinandosi: poi tornati al corso, riuscirono anch’essi vicino alla Madonnina d’Imbevera: — Ecco appunto il posto di quella mia disgrazia. Nel rimirare questi luoghi, vengo trovando nella mente certe idee smarrite, come quando si raffigura un amico della prima fanciullezza. Quel tabernacolo, oh lo riconosco. Guarda, Emilia. Qui era appoggiata la lettiga, giusto al piè di quella grand’albera. Veniva un’acqua a secchi. Io, per non udire, per non vedere i tuoni, i baleni quasi continui, acquattavo il capo in grembo a mia madre; ed ella, povera mamma! mi accarezzava, mi confortava. Quando a un tratto si odono delle moschettate, un dàgli dàgli, un allarme: sporgiamo il capo: ecco venire incontro... che guardature! Folti ciuffi, cascando dalla fronte, velavano ad essi tutta la faccia, che rischiarata ad ogni tanto dai lampi, somigliava veramente a quella di demonj. Parmi tuttora avergli sugli occhi, e forse, vedendoli, li ravviserei».
Il guardacaccia (e sapeva ben lui il perchè) voltava a dar degli ordini: donn’Emilia, compatendo allo sposo, non teneva gli occhi asciutti: il feudatario, bramoso di metter fine a quel discorso, — Oh via! (esclamò) la sua tenerezza le fa onore, ma ora siamo a divertirci. Bando alle melanconie. All’erta: lanciate i cani».
Diede fiato al corno, spronò, imboscossi, e dietro a lui si sparpagliarono tutti per la boscaglia.
In qual modo don Alfonso intendesse cogliere la preda, alla quale già vi siete accorti che mirava