Pagina:Novelle lombarde.djvu/45


41

Don Alfonso, come prima scôrse il Sirtori, brillò in modo, che il guardacaccia disse sommessamente ai camerata: — Ha l’occhio d’un astore quando ha veduto la starna». Venuti poi vicini, il feudatario si fece incontro all’altro, tutto amichevole e manieroso e — Qual buon vento conduce da queste bande il mio padrone e la gentilissima sua damina?

— Anzi il suo debole servitore» rispose il giovane, e vie più rassicurato dal cortese accoglimento, gli espose la ragione del pellegrinaggio.

— Oh non si dirà mai» replicò l’Isacchi «che una tal coppia abbia onorato di sua presenza la mia giurisdizione senza aggradire l’ospitalità che può ne suo castello, offerire un romito campagnuolo»,

E perchè don Alessandro se ne scusava allegando il bisogno d’essere al più presto di ritorno, — Già già (soggiungeva quegli con un ostentato sorriso) due sposi novelli si fanno rincrescere di passare una nottata sotto altro baldacchino. Certo però non vorranno farmi rifiuto di quel che posso sui due piedi offrir loro, una partita di caccia. Qui il mio guardiano ha notato la pesta di un porco selvatico e, se c’è, lo vogliamo scovare».

La caccia era passione così universale dei ricchi, l’esibizione vestiva tale aspetto di sincerità, che sarebbe parso un fallo a don Alessandro di non tenere l’invito. Presto dunque furono loro presentati spuntoni, balestre, falchi de’ meglio addestrati, e si misero alla caccia, finchè capitarono alla bettola di Cipriano, dove, se vi ricorda, gli abbiamo lasciati. Dalla quale mentre si partivano, don Alfonso misurò d’un occhio scrutatore i bravi di don Alessandro, i quali, col non discostarsi mai dal costui fian-