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colla nuova sposa, eragli sorto in animo il desiderio di visitare i luoghi di quelle prime dolorose ricordanze, versare una lagrima sulla zolla ove sua madre avea versato il sangue.

Una sera a don Alfonso si presenta il guardacaccia. Quest’era un bresciano, pezzo d’uomo alto e membruto, fin dalla prima gioventù manesco, accattabrighe, coltellatore, che, sbandito dal suo paese con dieci o dodici omicidj sull’anima, e una grossa taglia sul capo, era entrato già da molti anni a’ servigi di don Alfonso, al quale faceva, secondo le occorrenze, da cacciatore, da bravo, da mezzano, da spia, da boja.

Questo arnese si presenta dunque al padrone, e gli riferisce come domattina il signor Sirtori passerà da quelle parti per condursi nel bosco d’Imbevera, non sapeva a che fare.

Tripudiò a tale notizia il feudatario, non altrimenti d’un bracco allorchè, vedendo il padrone pigliar fucile e carniera, s’accorge che deve uscire alla caccia. Tolto al tedio iracondo dalla fiducia di una imminente vendetta, quella notte non seppe l’Isacchi trovar requie; entrava, usciva senza ragione: stette lungo tempo passeggiando sopra un terrazzo; ma sebbene avesse in prospetto la pacifica amenità del Pian d’Erba illuminato dalla luna la quale dava un luccicare d’argento alle tranquille acque dei laghetti, non vi poneva egli mente; e colle braccia incrociate al petto e lo sguardo a terra, trascorreva pensoso, di tempo in tempo applaudiva a sè stesso, poi dava ordini, poi interrogava, poi tornava a starsi solo: — tanto irrequieto l’avea reso il veder presso al compimento un disegno anni de anni meditato.