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nendole continuava: — Qui sono, qui sempre sono state, a sentir uno ad uno tutti i palpiti del mio cuore: nè le tolsi mai se non quando le leggeva e rileggeva, baciava e ribaciava, e le inondavo con lagrime di dolore, di desiderio, di speranza. E tu, Giulio, e tu ti rammentavi di me?
— Se me ne rammentavo? O quanto!» Così il garzone, alzando al cielo le pupille.
— Ebbene», proseguiva l’amorosa, lieta di effondere una volta la piena degli affetti da due anni contenuta. «Ebbene, ora saremo beati.
— Beati!» ripeteva egli in cupo tono.
— Sì, beati!» riprendeva essa. «Che mancherà più a noi? Lo zio non vede quell’ora che ci sposiamo! tante volte me lo ripetè. Tu, oh tu sarai il mio Giulio, io sarò la tua Felicia, tua per sempre, per sempre; e potrò dire a tutti quanto ti amo; o potrò mostrare alle mie compagne qual bene possiedo. E quando avremo de’ figliuoli, che somiglieranno a te... Ma perchè tu mi fissi così? Giulio, cos’hai? t’ho io forse oltraggiato? In che ti spiacqui? ma se non pensai, se non bramai che d’esser degna di te. Di’, mi ami? mi ami proprio come prima?
— E come non ti amerei, angelo de’ miei giorni? prorompeva l’infelice; poi coprendosi il volto colle mani: «Povera Felicia!»
— Dunque (soggiungeva essa) perchè mi chiami povera? Se mi vuoi bene tu, non son io la più fortunata delle creature? perchè non m’abbracci? perchè non mi baci? Un bacio, Giulio, alla tua promessa; un bacio...»
E avvinghiandosi al collo di lui, alzavasi sulla