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sione dell’amore, — Ingrato (gli dice) ti basterebbe l’animo di metterti a letto prima d’avermi salutata in disparte?» E abbracciandolo, — O Giulio (continuava), non sei tu il mio cuore? non sono io la tua Felicia? Di’, sei tu ancora quel desso? Oh! io mi sono sempre conservata per te.... per te solo il mio amore. Ti sovvieni a quel cipresso, laggiù in fondo al giardino, la sera avanti il tuo partire.... una sera bella, come questa, così serena, così ventilata. Tu sedevi su quel cespo, ed io — io sulle tue ginocchia; e il tuo braccio mi cingeva il collo così. Che mi giurasti tu allora? — Di’, te ne ricordi?
Sì, Felicia, sì, me ne ricordo», rispondeva il giovane con caldi e rotti sospiri.
E la fanciulla, nel pieno della contentezza, la contentezza d’un giovane cuore che dopo lunga assenza ritrova alfine quell’altro cuore che l’intende, che gli risponde, seguitava: — In questi due anni, che mi parvero un’eternità, non volse giorno, qualunque tempo facesse, che a quella pianta io non tornassi: e là seduta, assorta, mi figurava sempre quella sera, quella sera beata: ma tu non v’eri più. Pure colà io pensava al mio Giulio... Sebbene! ah tutto il dì, tutta la notte, dappertutto io non faceva che pensare a te, che sospirare il tuo ritorno, che immaginarmi la consolazione di questo giorno. Oh questo giorno, quest’ora val ben due anni di spasimi, di vedovanza! E le lettere che mi scrivesti — quelle lettere, espressione dell’anima tua candida e infervorata, sai dove sono? guarda». E spontandosi il gorgierino d’in sul petto, le traeva baciandole ed esclamando: — Oh care quelle parole?» Indi ripo-