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ornate gabbie ripiene d’uccelletti d’ogni sorta. A questi uccelletti, nel punto che la mascherata presentossi davanti ai principi nel gran cortile del palazzo ducale, fu dato in un tratto la libertà... Sopravenne dopo questo trionfo la muta, parimenti a sei cavalli, di S. E. il signor ministro plenipotenziario, seguita da ben dodici altre simili, oltre un grandissimo numero di carrozze, di calessi, di carri di ogni specie, pieni tutti di belle e leggiadre facchine, le quali venivano di mano in mano assistite da quantità di facchini a cavallo. Tutto questo lunghissimo séguito era di tanto in tanto interrotto con altri cori di sinfonia e con altri trionfi diversi, tutti ugualmente che gli altri nel carattere della mascherata. Il primo di questi, che nella sua perfetta semplicità venne giudicato bellissimo, era un carro rappresentante un piccolo spazio di terreno, sopra cui elevavasi un alto castagno. All’ombra di quello, forse dodici pecore stavano pascendo l’erbe, e un biondo rubicondo pastore, appoggiandosi al tronco, e accavalciando negligentemente l’una delle gambe al bastone che teneva fra le mani, quelle pascenti pecore custodiva. Due altri trionfi che vennero in seguito, rappresentavano l’uno la scuola dei fanciulli facchini, governati dal vecchio pedante della Badia, e l’altro la scuola delle figlie. Finalmente degli ultimi tre, il primo, era un trofeo degli utensili e dei vasellami che s’appartengono al governo del vino, stato ideato ed eseguito con non minore decoro che bizzarria. L’altro rappresentava molto al naturale un pergolato carico d’uve con facchini e facchine che la vendemmiavano. L’ultimo poi, col quale ponevasi fine alla mascherata, era il