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che li distingue. Hanno una foggia di ballo e di costumanze nazionali. Il loro abito è d’un panno bigio, con un giubboncino e le calze dello stesso. Il cappello è del medesimo colore, ma ornato di grandi e ricchi pennacchi, che dànno alla figura un’aria bizzarra e pittoresca. Portano alla cinta un grembiale vagamente ricamato d’oro e d’argento con simboli e figure alludenti al carattere particolare che ciascuno rappresenta. Recano un sacco in ispalla, ed hanno al viso maschere eccellentemente fatte, raffiguranti fisionomie oltremodo nuove e capricciose, ma nello stesso tempo naturali e secondo il costume. La detta mascherata suole uscire quasi ogni carnevale o in occasione di pubbliche allegrie, ora più, ora meno pomposamente».

Così il Parini; e se non è sfacciataggine il prender dopo di lui la parola, io vi dirò così all’ambrosiana, che dalle valli sovrapposte ad Intra e Pallanza sogliono venire a Milano i facchini, e massime quelli occupati attorno alla legna ed al vino. Ordinati in corporazione (come erano non ha guari i facchini del porto di Genova) ottennero statuti e privilegi e bandiere: in certi giorni, massime quel della candelara, andavano per la città sonando le pive; in certi altri, e specialmente il giorno di sant’Aquilino, loro patrono, conducevansi in processione con sinfonie e canti e gonfalone sventolato. Qualche resto di tutto ciò dura fino ad oggi.

Piacque imitare questa cosa vera ad una società finta, specialmente sostenuta dai Borromei, che erano feudatarj di esse valli del Lago Maggiore. Formavano adunque la Magnifica Badia, società costituita come le altre, e che il secolo nostro positivo avrebbe