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Scala è aperta, l’impresa appalta a compagnie la Canobbiana, che così non resta vacante.

E chi non gli basti, ha altri teatri, con opera, con drammi e commedie, con fantoccini. Ora io non so che a teatro si vada per fini serj, per meditare, per calcolare. Si va a distrarsi, a vedere, a farsi vedere, a chiacchierare, a malignare, a ridere, anche a piangere, se volete, ma di un piangere estetico: est quœdam flere voluptas.

Avevano tutto ciò i padri nostri? Gnor no; e adunque il più ch’io possa concedere ai piagnucolanti è, che si cangiò la natura de’ divertimenti. Gente che va tutte le sere a teatro, che là ha le sue conoscenze, le sue visite, le sue relazioni, i suoi affari tragici e gli affari comici, domando io come può aver voglia e tempo da pensare a far una mascherata. Che alla fin dei fini, alla mancanza di maschera si riduce questa nostra proclamata serietà. E per vero su qualche capitolo concedo anch’io che il gusto se ne smette ogni giorno; ma non vorrei che chi sta in quella città più seria, per esempio Torino, credessero fossero scomparse affatto anche a Milano.

Tutti sanno che gli antichi celebravano i Saturnali, feste dove rammemoravasi la prisca libertà italiana, quando, non vi essendo dominazione di forestieri, non v’avea per anco padroni e schiavi. Il povero e il ricco, il patrono e il cliente, il servo e il padrone vi si consideravano eguali, si servivano a vicenda, e per esser meno distinti, cambiavano abito, trasformavano il viso, e in tal modo era perfino lecito ai poveri e ai deboli dire la verità ai ricchi e ai forti.