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giro per la città. Ma no; il popolo è qualche volta come gli eruditi e i poeti; si ostina dove c’è il difficile. Tutto quel peso dunque dovrà essere spinto a strascico sul ciottolato, che non è la parte migliore della città. Ben potete immaginare che nè dieci nè venti persone bastano: settantadue facchini sono a ciò destinati; ma se v’aggiungete i dilettanti, passano il centinajo le persone che, dentro per l’interzatura delle travi, e dietro e a fianchi, danno la spinta a quella mole, sudati, trafelati, gridanti, urlanti.

La mattina, come in tutta cristianità, si fa la processione del Sacramento, ne’ soliti modi; se non che qui tengono del pittoresco ancora il fasto delle divise dei bidelli e mazzieri delle confraternite, e l’addobbo delle donne colla tovaglia in capo.

Dopo la devozione viene la scena, e sull’ardore del tocco dopo mezzodì esce la Ruota. Al cenno d’un capo, i facchini danno l’urto, e la macchina si muove, e va e va strisciando sul pavimento, in modo che presto s’infocherebbe ove continuamente non vi si gettasse acqua. Spintala così quanto dura il fiato, s’arrestano dinanzi alle case principali: quelle cioè dove ci stanno le autorità, e più caramente quelle i cui padroni hanno l’attenzione di aver preparato alla porta una refezione e qualche secchio non d’acqua. Allora rinforza la musica che accompagna la Ruota; e i facchini, che diresti ammazzati dalla fatica, si ricreano all’ilarità del vino; e rinvigoriti mettonsi a ballonzare stranamente e sguajatamente, e il popolo circostante raddoppia gli applausi, e Viva Vicenza, viva la Berga, viva casa Bissàro, e intuonano una canzone...

Un critico che Dio ha chiamato a sè, fra gli al-