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          Opra d’Andrea, miracolo dell’arte,
     Sovra adatte colonne a cento a cento
     In doppio d’archi e logge ordin si parte.
          Marmoreo d’ogni intorno è il monumento,
     Tal che Grecia al fiorir di sua stagione,
     Non vide più magnifico portento;
          Nè più industre arcuato padiglione
     Sull’aventino e l’esquilin cacume
     Copria l’aureo palagio di Nerone.

Se non temessi il titolo di barbaro, direi che avrei amato assai veder la prisca forma gotica di quell’edifizio, più che quell’esuberanza di colonne, che fino a sette si ammucchiano sugli angoli. Il grandioso salone giaceva abbandonato e nido de’ vipistrelli, quando l’amor patrio spinse i Vicentini del 1832 a riparare il gran coperto con nuove lastre di rame.

Quivi daccanto si congegna la Rua. È essa un gran castello di legno, alto venti metri, cioè come le case, e a varj palchi, sui quali stanno persone di carne e cavalli di legno; e in cima la figura della Giustizia, simbolo incontradetto dei notari, e più su ancora un banderajo; e sotto altre virtù, s’intende simboliche, che le vere non amano mettersi in mostra: e poi cavalli e cavalieri, avanzo dell’antico trionfo, e sonatori. Campeggia nel mezzo la Ruota, da cui la macchina trae il nome, a spintoni girata continuamente, e in essa seduti ad equilibrio alcuni fanciulli che gridano e sventolano pennoncelli. Tutto poi è a stemmi, a svolazzi, a banderuole di colori permessi e di proibiti.

Alcune ruote, o palle di bronzo, o curli potrebbero ajutare a muover questa mole, che dee fare il