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triota con un po’ di allegria; che giovi coglier le rose, pronti ad affrontare le spine quando imbronchino il cammino pel quale vogliamo arrivare.
Dopo quest’esordio, che calzerebbe ad una predica, dirò sul serio che, se oro avess’io, vorrei, fra tante insulse spese che fanno le accademie e i ricchi, proporre un dono a chi facesse una monografia della Lega Lombarda, con tutti i suoi documenti da una parte, e dall’altra tutte le tradizioni che vi rattacca la memoria popolare, meno dimentichevole che altri non asserisca. In tal caso verrebber fuori e il Pagano di Como, e il Zanin dalle Balle di Cremona, e la Antonia Bonghi di Bergamo; e insieme racconti anche su Vicenza e sulle guerre municipali che son rammentate nella festa di cui voglio parlarvi. Innanzi tutto, pei meno eruditi, io ricorderò che Vicenza è fabbricata sulle ruine di Berga, città perita non si sa quando, ma di cui ritrovansi le vestigia ad ogni po’ che si scavi. E singolarmente è a vedersi il teatro in piazza dei Gualdo, del quale begli avanzi sono deposti nel palazzo Chiericato. Berga, Beriga, Vicenza vogliono dunque dire lo stesso; ma non istate a domandarne il come.
Io non posso che esporvi la tradizione, qual l’ho raccolta da un vecchio al caffè mentre aspettavo la Ruota, il giorno del Corpus Domini, anni fa. Vicenza era caduta in servitù della vicina Padova, quando, sul principio del XIII secolo, risolse di uscire da quel vassallaggio. Verlato e Bissàro, principali cittadini d’allora, convocarono il popolo dalla campagna, e passato il Zocco, allora bicocca munita, ora piacevole osteria che segna il confine col Padovano, assalsero inaspettati l’antenorea città.