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impedirne l’effetto; ma convien dire non ungessero abbastanza le ruote in quella Dieta, ove tutto andava per denari, sicchè la festa rimase proibita. Ben si continuarono alcuni anni i balli e la polenta, e mascherate dirette da un capitano della gioventù, finchè la cosa fu mandata in disuso da occupazioni più serie.

In Oga, terra pure del Bormiese, costuma una festa di genere diverso. L’ultima domenica del carnevale, finite le funzioni di chiesa, accolgonsi molti, travestiti da pastori e da montanine; e quali s’attaccano ad un aratro, quali ne dirigono la stiva, e s’incamminano per la campagna con altri dietro, che tengono nella sinistra uno stajo di cenere, colla destra spargendola in atto di chi sementa, poi si danno alle allegrie della stagione. Mi dicevano farsi così in memoria d’un pastore che primo dissodò quelle glebe: altri vorrà forse in queste Palilie trovare rincalzo alle opinioni del Vico sul fuoco onde prima si arsero le selve, ed un ricordo dei tempi, quando i popoli, vicini all’immane loro origine, posero confini ai campi, che riparassero all’infame comunione delle cose dello stato bestiale. In quel paese stesso, a maggio entrante sogliono i garzoni e negli anni bisestili le fanciulle, andar accattando farina, uova, burro, che impastano e brancicano, e col materello spianano in un’ampia sfoglia (tutto al cospetto degli uomini e del cielo), indi accartocciata la sfendono in taglierini, e bolliti gli imbandiscono a pubblico desco.

Lo so anh’io che la civiltà ha ben più sodi, ben più giovevoli godimenti: ma oggi, che il tempo, passando sopra le nostre fisonomie morali, ne va spia-