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ventura, augurando mariti pel vicino carnevale. In Valtellina poi a marzo entrante i fanciulli van girellone per le campagne, incioccando campanelle, quasi risveglino la natura dal lungo torpore.

Non nella sola Lombardia è sacra la notte di San Giovanni. In Germania, in Inghilterra rammemora il prisco culto, con cui celebravasi il sole adulto; ma da noi non allude che alle tregende e alle versiere, al loro fascino, cui la rugiada di quella notte è possente antidoto. Nel Luganese poi sogliono la mattina di quel giorno, che ivi ancora va feriato, accalcarsi i garzoncelli ai balaustri della chiesa, deponendovi mazzi di fiori, ramoscelli di ginestra e di mortelle, e, a non mancare, alquanti bulbi d’aglio. Cantata messa, il piovano asperge tutto d’acqua santa, e allora è un mezzo accopparsi dei devoti per correre a chi primo ghermisca quelle benedette novellizie. Le donnicciuole serbano a gran cura gli agli, come farmaco d’ogni malattia; dei più bei fiori sapranno ben essi che farne i giovinotti; gli altri si legano ai tralci come riparo dalle intemperie. E quando certe nubi biancastre e, per dir così, stracciate minacciano sterminio ai campi, si corre a bruciare all’aperto di quei fiori, intanto che il sagrestano dà nelle campane alla distesa.

In simil caso ho da noi veduto, tanto una come cento volte, ardere dell’ulivo, benedetto la domenica delle palme: e chi più ne sa di quella sapienza corriva de’ padri nostri, assicura che a mettere sul fuoco di quei rami in forma di croce e, quando ardono, gettarvi tre grani di gragnuola, si assicurano i campi ben meglio che coi pali e le paglie di Tollerd e di Lapostolle. Un altro strano rimedio