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di sè, a dar qualche punto lasagnon lasagnone: ma il più del tempo a far nulla, mentre essa lavorava ad accannellare seta per buscare qualche soldo, che difficilmente poteva sottrarre alla colui avidità.

Quando poi egli s’indugiava fuori, correva a cercarlo, massime alla sera, e ridurlo a casa. Se ne ricevesse de’ rabuffi, nol mi domandate, e anche peggio, perchè l’ubriaco ha perduto il più bel dono di Dio, la ragione; e più non sa quello che si faccia.

Ma un giorno fra gli altri, essendogli riuscito di trovare alcuni soldi ch’ella aveva riposti nel pagliericcio pei bisogni che prevedeva vicini, Tita, inchiodatosi nella taverna, si abbandonò al chiasso e a tracannare vino e vino, il cervello se n’era andato. La Laurina, visto farsi tardi, girò di bettola in bettola sulla traccia di lui; alla fine lo trovò che sciscinando ne diceva di tutti i colori, e attorno una fitta di bevoni, cotti al par di lui, a metterlo su e pigliare pasto delle pappolate che gli cascavano di bocca, e tenergli bordone con delle somiglianti.

La buona moglie se gli mise allato, quanto dolce sapeva, a pregarlo, ad ammansirlo, a volerlo menar via. La gente guardava, e ne facevano scene. Tita un pò e un pò sopportolla, poi sentì pizzicarsi le mani, e balzato in piedi, rosso come lo sverzino, senza lasciar brutto nome che non lo dicesse la acciuffò, e cominciò a picchiarla da forsennato.

Batter la moglie! e in que’ piedi! A quali orrori trascorre l’ubriaco! Gli avventori e l’oste riuscirono a trargliela dalle mani; essa, tutta pesta e scarmigliata uscì: colui continuò un pezzo ancora le