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rito. Insomma tante e tante gliene dissero, che la Laurina fu indotta a dare il sì, e l’affare si stiacciò.

Andò sposa. Il bel primo giorno, bevi e ribevi, Tita fu messo in terra da una solenne imbriaccatura. — Pazienza! sarà stata la compagnia, lo straordinario». Ma egli toccò via di quel passo; onde la Laurina fu chiara che il vizio era nelle ossa, ne le restava di che sperare. Tutto il dì a sbevazzare, tutte le sere a casa ubriaco: non c’erano più padre e madre da dargli una sbrigliata: se prima al lavoro badava poco, ora niente, e non cercava che passar la giornata senza stracca: poi cominciò a vendere questa o quella masseriziuola della moglie.

E lei? colla pazienza, colla dolcezza (povera fanciulla!) faceva di tutto per indurlo al bene. Avrebbe potuto andare da’ suoi e dir loro, — Vedete mo? non ve l’avevo detto io?» ma perchè crescere in cordoglio che già capiva che n’avevano? Taceva dunque e mandava giù; e se alcuno le domandasse, «Come va, Laurina?» rispondeva: — Bene, colla grazia di Dio»; e a Dio pregava, a Dio espandeva i suoi rancori, da Dio sperava l’ajuto.

Eccovi la storia di quella setajuola. Passò, nel modo che v’ho detto, la stagione della filanda: i denari erano consumati in erba da quel goloso: ond’ella pensa con ansietà al figliuolo che aveva da nascere; per allestire a questo le fasce e i pannicelli, non poteva essa che ritagliare i vestimenti e le biancherie sue; ma tutto era niente, purchè il suo Tita non ne facesse qualcuna: qui batteva la sua continua paura. E perciò non lo perdeva mai d’occhi; lo tenea, quand’era possibile, in casa, lì presso