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— Ti piacerebbe la Laurina del Forno?»

— A me sì».

Al domani Tita, rimpulizzito e colla gala smerlata e colla scatola del tabacco, siccome usano qui, andò a trovar la ragazza, e farle le paroline. Essa non ne sapeva nulla; ma visto i parenti usargli cortesie, gliene usò anch’essa, tanto che la madre di lei corse da quella del Tita a riferirle: — Ehi, la va coi fiocchi: il parentorio si farà: le è piaciuto».

Ma quando la chiarirono che si trattava di sposarlo, Laurina diede fuori a piangere, e che non lo voleva perchè era un qua e un là, e perchè aveva rubato, e perchè bazzicava all’osteria, e perchè non aveva il timor di Dio.

Sua madre le recitò una sequenza di ragioni, una più gagliarda dell’altra; e le mostrò la povertà della famiglia, i tanti fratelli; ma essa replicava: — Vedete? non son in qua tutto il dì a dipannare seta. Lavorerò anche di più, tanto da fare le spese a me, e un poco anche a voi; ma per carità non mi affogate a questo modo».

La madre s’ingrugnò: vennero le comari a darle della pazza pel capo: — Cosa vai a rimestare, scioccherella che tu sei? Avresti a far Gesù colle due mani. Magari quante lo vorrebbero: e tu non dovresti chiamartene degna. Credi che si trovi un’occasione ad ogni uscio? Hai già ventidue anni sonati: vuoi rimanerti a spulciare il gatto? o pressumi scavizzolar un signore di carozza?»

Se ne mischiò anche il signor curato, un buon uomo, di nulla più smanioso che di vedere i giovani e le ragazze accasati, e pieno di fiducia che quel sacramento rimetta il senno a chi l’ha smar-