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forse tuo dovere?» soggiunge colui con un ghigno disvenevole.
— Sì (risponde la Laurina) ma con patto che ti comporti da bene. Sei stato al vinajo stamattina?»
— No.
— Davvero no
— No... E poi, sì: ci sono stato: ho bevuto prima un calicino di acquavite, poi una mezzetta, e ho speso il mio santo. Voglio andarci quando mi gira, e so camminar senza falde, e tu non mi devi dottorare addosso, e se non ti piace ricorri. Ecco, ci sono stato e ci sarei rimasto a bere a rigagno, se l’oste non avesse scritto sul banco Oggi non si fa credenza. Ma non avevo più un becco d’un quattrino. E sicchè, quando me ne porterai tu?
— Non te n’ho dato anche sabato? Che n’hai tu fatto?
— Oh l’è garbata! mi bruciavano addosso, e gli ho bevuti su; e ti so dire che mi fecero pro. Volevi che murassi a secco?»
E dicendo sghignazza; e la Laurina a piangere, ed esso a berteggiarla. — O che? piagnucoli? Già tu le hai in tasca le lagrime, tu. Sta a vedere: o che le parole ammazzano? Piagnucoli perchè ti vedano cogli occhi rossi, e ti dicano: O sposina, cos’avete? e tu: L’è il mio Tita che fa il matto. Oh...» e fiottando le misura un manrovescio, scagliando una dovizia di cancheri e di rabbia.
Ma essa lo accarezza, e, dolce come una melappia, — Quando mi hai intesa mai nè tu nè alcuno a dir così? Se ti voglio bene il sai: quel che fo per te lo vedi.
— Di belle cose vedo io: sì, di belle cose! Il