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Alla mattina innanzi l’alba fui in piedi a rimpulizzire la camera; ma non andò molto che udii bussare alla porta. — Chi è?» Era Mommolo, che dormiva sul fenile d’un nostro compare, e che, ansioso anch’esso non meno di me, era venuto così di buona levata a trovarmi.

— Dov’è nostro padre?

— Dorme.

— Sapete che?» diceva egli: «venite fuori: andiamo ad asolare un poco, sinchè si faccia l’ora».

Vado. Egli s’era ribadito tutto in filo: un cappel nuovo di bottega; camicia di bucato con un fior di gala; dalla reticella del capo pendeva un fiocco a molti colori; calze fiorate; pareva un angelo bell’intero: ad armacollo aveva il suo schioppetto, senza del quale non l’ho veduto due volte. Così andammo a visitare i luoghi sacri alle nostre memorie: trovammo il cimitero del giuramento, venimmo al pratello, e da per tutto c’era a domandarci = Vi ricorda questo? — vi ricorda quello?»

A canto al prato era quel sasso, dalla cui altura si distingueva il villaggio di Mommolo. Vi salimmo; egli guardando per la foce del monte, diceva: — Ecco; l’ho abbandonato affatto quel paese: eppure sento che mi è caro. Nel dargli l’ultimo addio, mi si schiantava il cuore: e anche adesso nel mirarlo mi vien di piangere. Noi siamo proprio come uccelli, che amano tanto il proprio nido. Ma anch’essi, se si vedono tolta la covata e replicati i disturbi, s’incapricciano, e se ne divezzano».

Poi si parlava del nostro avvenire: dove s’andrebbe a piantar casa: come lavoreremmo: che bel bambino sarebbe il nostro primo, e come mettergli