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nasse Mommolo qualche volta a trovarmi. E ci tornava due, tre volte l’anno, e il resto del tempo passava in un modo, che allora mi pareva un inferno, ma adesso, quando ci penso, vedo che era un paradiso, perchè tutto era abbellito dalla certezza di rivederlo, dalla speranza che diventerebbe mio.

Venne intanto quell’anno bieco della carestia. Cara Madonna, tenete sempre lontano questo flagello! Se ne abbiamo veduta della miseria! Non castagne quell’anno; non mangime per le bestie; un pugno di melgone valeva un occhio. Giù per li prati, su per le pendici s’andava a cercar erbe e radici, che mai nessuno aveva pensato fossero mangerecce, e così scondite si gustavano, e chi avesse una presa di sale da mettervi, era un lachezzo. Tutta questa gente si calò nelle terre piane ad accattare per Dio: alcuni morirono di pura fame, altri commisero delle cattive azioni, e fu quasi il meno male, perchè andarono in prigione, dove almeno il pane non mancava.

Nè io, nè mio padre non so come saremmo vissuti in tempo sì bisognoso, ove non fosse stato Mommolo. Veniva fin qua su, carico di farina e di patate, e ce le portava di notte, diceva esso, per non far troppa gola ai nostri affamati vicini: onde per quel suo soccorso la campammo. Finalmente la stagiono del 17 s’aprì. Ella deve ricordarsene: prometteva essere un bel ristoro di tanti patimenti, quando le brine portarono via tutto, tutto: la primavera andò umida e la fame crebbe: e sa il cielo come finiva, se Domenedio non si fosse tratto a compassione, e non avesse rinnovato la campagna e i frutti, che fu una benedizione. S’è proprio veduto il dito della Provvidenza.