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giurata, e pel ponte sul Brembo, mette capo all’orobia città. Chi dalla strada postale si diparta poco dopo che s’è scostata dall’Adda, e appunto là dove accavalcia il torrente Sonna, può a mancina ascendere a Caprino, terra viva d’industria e di buone case; poi seguitando al disopra di esso e del collegio di Celana, per lungo ed erto sentiero si poggia ad un monte, dal quale estesissima spazia la vista, da una banda sovra greppi e lande, sterili e ingrate come la vecchiaja di chi passò nell’ozio e nel vizio la gioventù, dall’altra fra il limpido aere che s’innazzurra sulle ubertose colline della Brianza, poi lungo la ridente pianura bergamasca, popolosa di ricchi villaggi, indi nella Geradadda, e tra i pioppi e i gelsi delle campagne del basso milanese e del lodigiano fin dove si confondono coll’orizzonte.

Vago sempre di godere lo spettacolo delle naturali bellezze, in un lieto giorno del passato autunno io m’arrampicava su per quell’erta, fermandomi tratta tratto a riguardare una scena che, ad ogni svoltare di angolo, mi si mutava dinanzi, tanto bella quanto variata. Il sole chinava, e gli obliqui suoi raggi dardeggiavano intorno a me qualche rovere, qualche macchione di castani, e l’erbe che vestivano i dossi, e le vallette pascolate da branchi di pecore e di giovenche; poi, dove la montagna muore ondeggiando nel piano, illuminavano le vigne, festanti della matura vendemmia; più in là il fiume che, lento come i giorni del prigioniero, svolgeva le onde argentine fra poggi dirotti e clivi erbosi; poi di balza in balza, di campo in campo, sulla bassa pianura lombarda gli faceano velo le nebbie, a prezzo delle quali il cittadino si compra lautezza di cibi e di cocchi.