O mie carte, o libri amati,
Dolce causa de’ miei guai,
Quanto mai non v’ho bramati 20Fra l’inerzia che passò!
Al colloquio non temuto
Riederò d’un labbro amico;
Ciò che dico fia creduto: 24Ciò che ascolto crederò.
Diletti a questo cor,
Al vostro sen stringetemi: 27Ecco son salvo ancor.
Ditemi la parola
Che tempera le lagrime, 30Che il lungo duol consola.
E nostra madre ov’è?
Misera, quanto piangere 33Dal dì che mi perdè!
Ristoro ai gravi affanni,
Sua compiacenza e gaudio, 36Speme de’ tuoi tardi anni,
Nuovo a’ suoi figli padre,
Perdermi, e così perdermi... 39Deh quanto duolo, o madre!
Ti sovvien quante volte, alle mie cure
Benedicendo, dolcemente mesta, 42Il ciel (dicevi) sosterrà te pure?
Ed io che rispondevo? Ah non è questa
La terra dove sia compenso ai buoni; 45Terra al tristo benigna, al pio funesta.
Ma s’abbia il mondo i suoi venali doni;
E a chi la viltà sua svelar non teme 48Tòrsi al brago volgar mai non perdoni.
A meta più sublime ergiam la speme:
Ad un premio maggior d’ogni desio;
Lo sposo tuo lassù ci attende, e insieme 52Là canteremo unitamente a Dio.
Quei detti oh sovente ti corsero a mente
Allor che il tradito tuo figlio innocente
Udisti rapito coi ceppi sui piè.
Piangesti, pregasti: ma il prego, ma i pianti
Che il forte respinse, del Santo dei santi 58Ascesero al soglio, trovaron mercè.