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ampie ruote fu veduto posarsi sul comignolo d’una bettola, che sorgeva rasente la strada del bosco. Era una povera casipola, colla parete a tramontana rivestita di edera, mentre a quella di mezzodì stava dinanzi un piccolo ma ben disposto orticello, da cui presso al muro sorgeva una vite novella, destinata, crescendo, a contornare co’ suoi pampani una finestra, adorna con pensili ciocche di garofani vivaci. Verso quella si drizzò dunque la comitiva per ricuperare il falco, richiamandolo e procurando calmarne lo spavento colle note voci e col mostrargli l’esca.

Come s’intese dirigersi colà la cavalcata, fu un sottosopra nella tranquilla osteria. Un giovinotto, che affaccendavasi per la casa, corse a rintanarsi in una botte sdogata: la madre, che stava rigovernando le stoviglie, tutta spaurita gittò in là il ceneracciolo e l’asperella: l’oste, confuso, impacciato, svolgendosi le maniche rimboccate della camicia e traendosi di capo, si fece sulla soglia, incontro alla comitiva. — Illustrissimo....! qual onore....!» e strisciava i piedi, e faceva profusi inchini a don Alfonso. Ma questi non gli badava come se non fosse: e i servitori ad un suo cenno entrati nella casipola, senza un riguardo al mondo cacciandosi per le camere e su pel tetto, riebbero al fine l’uccello fuggiasco, non prima però che questo, lanciatosi di nuovo a volo per la cucina, mandasse a frantumi gli orci, i bicchieri, i piatti che capitarongli sotto l’alo.

L’oste non proferiva parola di lamento, e appena osava dare una timida occhiata alla timida moglie. Don Alfonso, dopo che s’ebbe in pugno il falcone, l’accarezzò, lo battè, gli parlò a lungo; poi volge-