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Austerlitz, Barcellona o Smolensko. E tra quelle finte imprese, dove ci addestravamo agognando alle vere, m’arrestò talvolta il più annoso pescatore del paese, affine di raccontarmi i casi di Ermellina. Io l’ascoltava, deh come attento! ma quando soggiugeva certe fantasie, d’un pipistrello che ogni sera aliava intorno alla portella, di certe graffiature che, poc’anni fa, si discernevano sulle bruciacchiate pareti d’un camerotto disabitato; di due fiammelle che, fino a’ suoi giorni si vedeano dal lago inseguirsi rasente i torrioni senza raggiungersi mai, — Buon vecchio (io gli chiedeva) perchè tutto questo fino ai dì vostri, ed ora non più?»
E mentr’egli rimaneva, mal predicendo di questi fanciulli, che, dopo venuta la Rivoluzione, nascono ad occhi aperti e non temono del demonio, io tornava sui trastulli, a strappare i vilucchi e il capelvenere dalle ingombre feritoje del castello, a racimolare le coccole selvatiche e l’uva turca sui dirotti muricci, e fingere innocenti battaglie su per le brecce, un tempo insanguinate dalle vere.
Or fa poc’anni, smurandosi colà, per far bello, col qual titolo il giorno d’oggi va distruggendo ogni memoria del jeri, fu dissotterrata una grossa lapida, impressa a rozzi caratteri, e sott’essa un guerriero. Il cadavere, al primo sentir dell’aria, si sfasciò, ma durarono i suoi arnesi di ferro e una negra celata e un giaco di maglia, nel cui mezzo dal lato sinistro era piantato uno stilo dal pome dorato.
Ma chi sì curò di sapere chi fosse?
1832 |