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dei dolci e dei magnanimi sentimenti che di memorie nutricavano le speranze dei miei Brianzuoli, finch’essi non dimenticarono di avere una patria. Le quali, celebrando le prodezze e le cortesie, or rammemoravano la gentile Ferlinda contessa di Brivio, allorchè vedovata, d’ogni aver suo fece dono alla cattedrale di Bergamo per salute dell’anima: or imitavano il pianto penitente, onde, nella rôcca di Lecco, Guido da Monforte scontava il sacrilego omicidio; or ripetevano all’indignata pietà i nomi e i fasti de’ nobili Briantei, scannati dai Torriani. Ma il cantore cominciava sempre, sempre finiva con una romanza, soavemente melanconica, siccome la ricordanza dell’amica lontana. E diceva:

D’ottobre rorida
     Tacea la luna
     Sovra la limpida
     Crespa laguna;
     Tremulo zefiro
     Lambiva i fior:
          La luna e zefiro
     Parver più lieti
     Quando, fra murmuri
     D’amor segreti,
     Cedesti a un trepido
     Bacio d’amor.

Sorriser gli angeli
     Alla primiera
     Gioja d’ingenua
     Fede sincera,
     E il tuo congiunsero
     Col mio destin.