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E guai a lui se si fosse arrischiato a sturbare i selvatici! più guai se avesse ardito ucciderne qualcuno! Don Alfonso avrebbe saputo perdonare ad un ladro, ad un micidiale, non a chi ne avesse scemato d’un capo solo la selvaggina. I contadini adunque dovevano soffrire e trangugiare, senza che credessero tampoco tesoreggiare meriti colla pazienza; giacchè erano stati educati a considerare l’oppressione una necessità inevitabile, come la grandine, come il morire; e che Dio, concedendo ai grandi d’intendere le ragioni che hanno per soperchiare il povero, avesse fatto anche troppo concedendo al povero la forza di tollerarli.
Alle caccie di don Alfonso era riservato il bosco, che dalla vetta di Barzago discende a bacìo della collina, e che allora distendevasi anche per buona parte del piano, oggi coltivato. Lo chiamavano, e lo chiamano ancora il bosco d’Imbevera; foltissimo di roveri e orni e castani, tra’ quali non solo moltiplicavano, come in parco chiuso, gli uccelli e i quadrupedi onde oggi pure si fa caccia, ma bestie ancora, la cui razza è fra noi o scemata o scomparsa. Lo tagliava, come dicemmo, la strada, e là, appunto ove in questa metteva capo una non migliore che scendeva da Barzago, era alzato un devoto tabernacolo della Madonna. Poichè, oltre le croci piantate a ciascun crocicchio, e le molte che, indicando il luogo dove alcuno fu assassinato, crescevano lo spavento al viaggiatore già pauroso, di distanza in distanza si solevano dipingere immagini sacre, affinchè la religione fosse di alcun freno a coloro, che nessun altro ne conoscevano. E però chi, alla frequenza di quelle ponendo mente, esclama,