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— Che Signore? che protettrice?» proruppe la dama, affoltando le parole in quello sfogo di rabbia tanto a lungo compresso. «Non è più tempo di dissimulare. Oggimai vedi in me la tua giurata nemica. Oggi, oggi stesso, o mesci questa bevanda (e trasse di seno una piccola fiala) al tuo sposo avanti che suoni mezzanotte: o svegliandoti, alza gli occhi ai merli della torre, e ne vedrai pendere il ribelle tuo padre».

Diede un grido la meschina, come chi sotto ai fiori scorga improvvisamente una serpe: barcollante appoggiossi al dossale d’una seggiola. — In quel punto entrava il cavaliero, e dove figurava trovar l’esultanza, udì lo strido: e postosi in mezzo alle due, prese con atto d’amore il braccio dell’Estella, che non ardiva levare lo sguardo su lui; fissò in volto la signora, per conoscere quel che di sinistro annunziava. Ella rivoltasi ancora all’Estella, digrignando i denti, e stretti i pugni, — Decidi: e se fai motto, l’uno e l’altro» e se n’andò.

A questo punto della narrazione del buon pievano noi eravamo arrivati a Varenna, dove si solea fare stazione e refiziarsi d’alcun cibo. Dopo il quale ci ricollocammo sui sacchi e sulle predelle della nostra barca, mentre appunto sonavano le sette ore di notte. Il buon curato le contò, e

— Le ore notturne sono amiche mie. Quando tutto è silenzio intorno, la loro voce parmi quella d’un benevolo che mi domandi come sto.

— Ma (soggiunsi io desideroso di ravviare il racconto) non le avranno contate no quietamente quelli di cui voi ci narravate testè.