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disco anzi l’imperatore coll’operare altrimenti?»

Questi o somiglianti pensieri venivano, sotto varia forma tempestando lo spirito di dama Isotta nei giorni successi; onde a vicenda, buona o corucciata mostravasi colla fanciulla. La quale, tutt’affacendata intorno al corredo e a quando al nuovo suo stato convenisse, interrompeva tratto tratto il lavoro, per lanciarsi al collo della sua signora, esclamando: — Oh generosa mia protettrice, quanto vi devo! ogni mia felicità la riconosco da voi».

La dama sorrideva d’un riso che mal celava la burrasca interna; compiangeva anche talvolta al pianto della fanciulla, ma in fondo al cuore la voce del maligno sorgeva esclamando, — Vendetta!»

Erano trascorsi i giorni, e quello promesso al ritorno e alle nozze era giunto; sul chinare del sole arriverà il cavaliero. La fanciulla, in aspettazione, erasi addobbata delle vesti sue migliori, e così rassettata comparve nel gabinetto della signora, e correndole incontro colla schietta gioja dell’innocenza, — Oh quanto sono felice, signora mia! il Cielo vi benedica».

Ma che? lungi dal ricambiarle l’abbraccio, Isotta se ne sottrasse; i segni d’un contento imminente esacerbarono i rancori di essa; da prima quasi inorridita la respinse da sè; indi anelante la ghermì per un braccio: dall’occhio irrequieto di lei, dal labbro convulso, dal petto in sussulto, dal pallore che le si alternava col rossore sulla faccia, avvisavasi lo scompiglio suo interno, mentre sul viso della fanciulla scorgevi l’incertezza, l’ingenua paura di chi non sa che cosa temere.

— O Signor mio!» esclamò. «Che cosa avete, o mia protettrice?