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perita. Ma voi le persecuzioni d’un prepotente ridussero in cotesta miseria: io resistetti ai nemici d’Italia con onore, e fui temuto da essi, come rispettato dai nostri. Quando vidi irreparabilmente perduta la lombarda indipendenza, qui mi condussi a vivere in disperata pace. Ma a Milano il nome mio è ascoltato ancora; se alcuna cosa può indurmi a farlo valere, e tornar a vedere quelle mura, tanto ahimè! cangiate, questa sarà l’andare a chiedere il perdono per voi. Ma un compenso ne aspetto, ed è la mano di vostra figlia, s’ella acconsente».
Se v’assentisse pensatelo, e più allora che alle ammirate doti del cavaliero s’aggiungeva il benefizio; e quando il padre ne la interrogò, l’Estella non rispose altrimenti che col gettargli le braccia al collo ed esclamare: Padre, quanto saremo felici!»
Ripartirono, ella per la sua barca, il Morone pel dirupato sentiero, dove l’attendeva il ronzino. Al domani egli si presentò alla signora Isotta, pregandola perchè volesse consentire che l’Estella fosse sua sposa. Nel sicuro e dritto operare di lui era un predominio, a cui la signora non sapeva sottrarsi, per quanto di malavoglia lo soffrisse: onde essa non ardì negare nè opporre. Disposto quanto alle nozze fosse mestieri, egli si partì per Milano.
In quello e nei giorni successivi non chiedetemi di che cuore stesse la donna. Quegli era stato il primo da cui cercasse, non pascolo all’ambizione ed alla voluttà, ma amore; lunga arte aveva adoperato a cattivarselo, ed ecco le sfuggiva; nè solo le sfuggiva, ma la posponeva ad una tapina, povera, sconosciuta, che altro non possedeva se non la bellezza. — Non altro che la bellezza; oh no: ella pos-