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la perdette di vista; onde breve egli vagò alla ventura, finchè un sommesso susurrare lo ferì. S’avvicina, ed ingombrato da rovi e scopeti, avvisa un piccolo tugurio, poco diverso dai capanni donde i cacciatori tendono la pania; s’accosta, ed affacciandosi a una finestrella, al tremulo lume di una lucerna a mano, vede, — oh che vede! Un uomo di forme maestose, a cui i patimenti aveano anticipata la vecchiaia, con lunga barba, con panni sdrusciti, stava seduto sopra uno sgabello; e sulle ginocchie di lui un’angelica apparizione, l’Estella che di un braccio gli cingeva il collo, traendoselo così dappresso, che i canuti crini ed irti del vecchio mesceansi colle nere treccie di lei, la quale intanto coll’altra mano venivagli porgendo il cibo, che traeva da una fiscella. Le dolci parole onde ella si accompagnava accoppiavano un non so che di carezzevole e di melanconico, siccome la memoria della patria lontana.
Stette il cavaliero alcun tempo, inteso allo spettacolo: indi si presentò alla porta socchiusa. Come l’Estella lo vide, senza che, involto qual era nel mantello, lo riconoscesse, trasalì, alzò un grido, precipitossi ai piedi dell’arrivato, gridando: — Pietà signore; non perdete mio padre».
Il cavaliero, certo allora di quel che si era immaginato, essere quello il padre della fanciulla, a cui ella venisse a recare vitto e consolazione, commosso nell’anima, la sollevò; e — Sta di buon cuore Estella; sono io, buona fanciulla: molta è la tua virtù, e ne avrai mercede».
Indi si converse al vecchio: e — Polidoro, la patria fu il pernio della nostra vita; sì, voi come io abbiamo combattuto per l’Italia nostra: eppure ella è