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vostro sapesse collocare gli affetti in parte più elevata. Una miserabile, figlia di un proscritto, senza nome, senza casato...

— Signora, non il nome, non il casato importano, sibbene la virtù».

Scesero queste parole nel fondo del cuore alla dama, che pur troppo, raccogliendosi in sè stessa, accorgevasi non avere nè gli uni nè l’altra; ma stizzita esclamò:

— Virtù, virtù! Ebbene, venite a chiarirvene voi stesso».

E sì lo condusse ad un terrazzo che dava sul lago, appunto dalla banda ove noi navighiamo. La luna batteva limpidissima come oggi sopra le acque, mostrando ogni nave che le solcasse. In una, che Isotta additò al cavaliero, vedeasi biancheggiare non sapeasi che, ma diverso da un pescatore o da un navalestro, ed avvicinata viepiù, vi si distinse una donna, la quale, trattala a riva, venne salendo verso il castello. Il cavaliero riconobbe l’Estella.

— Or bene» gli gridò la signora: «ella torna d’aver visitato l’amante. Eccovi la sua virtù, le vostre speranze».

E le si dipinse in viso il trionfo della vendetta, mentre il turbamento adombrava quello del Morone. Per ciò, allorquando l’Estella entrò, bella come un angelo, e con sorriso confidente si fece ad abbracciare la sua protettrice, questa, avezza a simulare, le rese più affettuoso che mai il bacio, e — Ben venuta».

Ma l’occhio della fanciulla girandosi sopra il cavaliero, lo conobbe torbido e ben altro da quel che soleva. Perocchè egli (non so se vel dissi) avea già