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col fatto, mentre il cuore neppur li ricordava, forse la lingua li oltraggiava.

Però, sul finire del secolo XVI, quando le guerre passate, la prepotenza delle classi priviligiate e lo sconsigliato ed inopportuno affaccendarsi d’una disamata dominazione diradavano la gente col diminuire od impacciare i mezzi di sostentamento, la maggior parte di quel piano giaceva incolta, occupata da boscaglie, rotta da guazzatoj ed acquatrini; sicchè, invece della strada che ora lo fende, mettendo dalle falde del Monte di Brianza alle deliziose alture di Erba, allora, un sentiero vicinale serpeggiava scabro e dirotto per mezzo al bosco che occupa il pendio settentrionale della collina, la quale, alzandosi da Rovagnate verso il Lambro, divide la alta Brianza dal Pian d’Erba. Pochi assai percorrevano allora quella via: giacchè, oltre le più scarse relazioni da paese a paese, il generale disagio delle strade, singolarmente nei terreni montuosi, svogliava dal viaggiare. Onde è in proverbio che chi dovesse (poniam caso) da Como giungere a Milano, assestava i domestici affari; indi avviatosi, com’era giunto a mezzo il cammino, rimandava un messaggio a casa per assicurare che, la Dio mercè, gli era riuscita prospera l’andata. Esagerazioni che però ritraggono da un fondo di vero, e che formano bizzarro contrasto colla rapidità onde oggi non solo travalichiamo a ruote correnti le alpi più elevate, ma solchiamo, a dispetto di venti e di correntie, rapidissimi fiumi e l’immensità dell’oceano.

Oltre però la disagevolezza delle strade, era il viaggiare reso mal sicuro dai lupi che spesseggiavano, e più da quella belva che ha nome l’uomo,