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da cittadino; brillanti colori e delicati; il sedan ed il velo crespo alternati colla stamina e col bambagello; foggie testè arrivate da Parigi presso a quelle da un anno abbandonate alle provinciali, all’altre che già discesero al contado, alle arcaiche, custodite dalle matrone in commemorazione de’ tempi migliori. Qui le piume d’uccello di paradiso ondeggiano a canto al pennacchio del gendarme, la cui vista fa sguisciar via il tagliaborse, frena l’allegria d’un ubbriaco e le ominazioni di due baffuti, che battendo i tacchi, ragionavano della buona causa. Qui gli uomini creati dalla natura a consumare e godere, misti con quelli da essa destinati a sbracciarsi e stentare per la soddisfazione dei primi: contadini imbruniti e ingagliarditi dal sole e dalle fatiche sono riurtati sdegnosamente dal prediletto dalla fortuna, gonfio per dieci generazioni di antenati, al par di lui oziosi, il colore e le membra dilicate del quale fanno prova del sangue più gentile, cioè degli squisiti bocconi e del non far nulla. Qui un veterano della legion d’onore e dai mustacchi bruciacchiati dalla polvere d’Ulma e d’Austerlitz, e che sarebbe colonnello se le cose, dic’egli, fossero ite come dovevano, trovasi a fianco del coscritto che una sola notte passò in caserma fra gli stravizzi, il fumo e le facili beltà. Qui la schifiltosa mantenuta pavoneggiandosi raccomanda al suo ganzo che le suntuose trine da lui donatele non lasci mantrugiare dal contatto del ruvido guarnellino, che la setajuola guadagnò di sacrosante fatiche.

Quando poi, veduto ed ascoltato intorno il linguaggio de’ ventagli, de’ fazzoletti, delle lenti, lo