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una nidiata di puttelli, e strillando Pietà, limosina. — Concordanze sociali!
Chi credesse che una sagra campestre dovesse far luogo a quella semplicità, che aggiunge tanto più all’allegria, quanto più la scioglie dagl’impacci, sarebbe troppo in inganno. Il lusso più ricercato, le più suntuose gale di vesti, di fronzoli, di gioje, sono di balzo trasportate dal corso delle città al bosco d’Imbevera. La signorina, venuta, già è un mese, a villeggiare qui poco lungi, fra il grosso bagaglio non si dimenticò di qualche bel capo o d’un vestitino a posta per questo bel giorno: la fidanzata vi fa la prima comparsa coi vezzi donatile dallo sposo: quella sciarpa, quella cappottina furono rinnovate per farne spocchia alla Madonna di Imbevera. Belle dall’arguto pallore e dal fuoco raccolto degli occhi pensosi, meraviglia dei teatri e dei ridotti cittadini; forosette dalle gote rubiconde e piene come melerose, che nelle solenni processioni del villaggio sentonsi dire Ve’ com’è bella, qui compajono insieme: le prime appoggiate ad uno sposo fedele, beando di lusinghiero ritenuto sorriso il fedele milordino, che con membra e con andar femmineo sbircisce colla lente e sussurra meditate cortesie; l’altre colle compagne, dando ascolto e risposta ai vivaci scherzi ed alle espressioni più clamorose quanto più cordiali, del bifolco e del bottegajo: finchè vanno queste a tracannare l’acquavite e la spumosa birra, l’altre a gustar la gramolata, il sorbetto e le paste sfoglie sotto ai padiglioni dell’efimero acquacedrajo.
Chi di là gira lo sguardo, vede brulicare una folla di teste; cappelli da villano, da signore, da prete,