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severo giudice delle colpe, malgrado quel po’ di ridicolo che talora può destare nei lettori italiani, dirò anzi negli europei, la figura del buon magistrato orientale.
Il Lung-tu-kung-ngan può, così alla prima, esser paragonato al nostro Decameron. Il libro cinese, come l’opera del Boccaccio, è diviso in dieci parti, ciascuna delle quali comprende dieci novelle. Queste cento novelle, al pari delle cento di Messer Giovanni, hanno molta libertà di linguaggio e vivacità di espressioni nel descrivere fatti non di rado bastantemente lascivi, ma hanno sempre a fine un pensiero morale; e le cinesi spesso burlano e sferzano i costumi, non illibati sempre, dei frati buddisti, allo stesso modo che quelle del novelliere fiorentino burlano e sferzano i costumi dei nostri. Certo però questo paragone non è che apparente; imperocchè chi abbia studiato nell’opera del Boccaccio l’arte stupenda di questo gran trecentista, non tanto nel maneggiare la lingua elettissima del suo secolo, e lo stile potente anche quando non privo di mende, quanto nell’immaginare, disporre e dar vita vera alle varie novelle, che poi raccolte