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rezza la teoria sulla monetazione dello Stato di Milano cui si attenne dappoi costantemente, e nella quale insistette e nelle Meditazioni sull’Economia Politica e nella Consulta che sullo stesso argomento scrisse a richiesta della Corte nel 1772. Essa ha dovuto bensì cedere ad una prevalente dottrina nell’esecuzione della riforma, ma non è ancor provato che quella in confronto non potesse esser migliore, e meno poi che fosse falsa. Verri avea in quel Dialogo così esposto il suo principio: “Lasciamo battere moneta alle nazioni che hanno miniere e grande commercio marittimo; noi, abitatori di un piccolo Stato mediterraneo, senza miniere, pensiamo ad accomodare le nostre partite del commercio, a diminuire le importazioni, ad accrescere l’esportazione, ad animare l’industria; pensiamo ad avere moneta buona, a valutarla bene, e non ci prendiamo briga dell’impronto che questa moneta debba avere„.

Se la dimostrata sincera persuasione di un grand’uomo può far ascoltare con minor disprezzo, o esaminare con più seria attenzione le massime che si oppongono alle attuali costumanze, non sarà pure inutile di riferire che tra le carte di Verri esiste un esemplare dello stesso Dialogo coll’annotazione di sua mano, che egli lo rileggeva sempre con piacere, persuaso che non si potesse con