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sarebbero sicure, perchè gli Spagnuoli corrrevano e predavano per tutto. Ma gl’infelici andarono a mettersi da se in bocca al lupo: poichè l’esercito da Bar berino scendendo per la Val di Marina; assalita e presa in passando la villa di Panzano, si avvicinò a Prato.
Era la mattina dei 26 agosto 1512, quando alla porta fiorentina, in un’albereta che vi era presso, si presentò un trombetta con dodici cavalli, spacciatovi dal campo spagnuolo che erasi soffermato a Calenzano, e intimò, che se in termine di tre giorni non fossero aperte le porte all’esercito del vicerè e datagli in mano la terra, questa sarebbe stata posta a sacco. Fosse la speranza dell’aiuto promesso e aspettato da Firenze, fosse la lontananza dell’esercito che aggiunse animo alla guarnigione, fu risposto, all’ambasciatore con buone cannonate: e tosto cinquanta fanti si ordinarono entro le porte per uscire a scaramucciare coi cavalli del trombetta. Sennonché sopraggiunse il Potestà Guicciardini, e ordinato ai fanti di non muover