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sciò che alla sua morte avvenuta nel 25 gennaio del 1772.

Questo valente pittore ebbe per lo più vaghezza di dipingere paesaggi di composizione; ne’ quali vedesi bene accordata ad unità la varietà delle parti: e, se ne togli qualche leggiero difetto ne’ dintorni delle figure, ammirasi in tutto il resto un tocco franco e risoluto. Negli scuri soleva a luogo a luogo dare il nero con botte così cariche, che il fuoco non giungeva a fonderlo: il che con avvedutezza egli operava, non solo perchè meglio fuggissero le lontananze, ma per ismorzare la troppa lucentezza dello smalto, che offende coloro che gli occhi hanno molto dilicati. Non usava, per quanto io sappia, apporre il nome ai suoi dipinti: varii quadretti io posseggo, che ho conosciuto appartenere a quest’artefice per alcune memorie di famiglia. In uno (alto un palmo, e largo uno e mezzo) scorgesi a prima vista un cacciatore, che per ristorare le membra già stanche dal lungo cammino, si è posto a sedere nell’ombra di un’annosa quercia: la quale, alle foglie in gran parte cadute, mostra che l’autunno è verso la sua fine. Alla destra di lui trae innanzi una giovane contadina, che porta in sulla testa un paniere: essa è rivolta con molta grazia verso il cacciatore per salutarlo, il quale nel risponderle lietamente, le mostra una lepre testè uccisa col suo fucil che tiene allato. Il cane nulla curante di ciò che avviene intorno a se, si sta dinanzi al padrone con gli occhi intenti alla preda: la quale è disegnata così al naturale, ed il pelo tanto vivamente colorato,

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