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La Valle Siciliana in ogni canto
S’udiva risonar tutta di gioia:
Quella vita finì che mi diè noia,
E che chiamar mi fè valle di pianto.

Bosco alcun non vi fu, antro, nè speco,
Ove irsuto animal ave ricetto,
Nè di rozzo pastor umile tetto,
Che ad un giubilo tal non facess’eco.

Ora che dirò io del gobbo rio
Giunto omai di Caronte al cavo legno,
Per far passaggio al sempiterno regno,
Ove il riso e ’l piacer son in obblio?

Stupefatto il nocchier lo vide in sponda,
E domandogli se fosse uomo o fera:
Risposegli l’Odon con mesta cera,
Son uomo che qui vengo a passar l’onda.

Caronte ripigliò: nommai dal mondo
Simigliante ne giunse a quest’abete:
Della natura umana aborto siete
Venuto ad abitar d’Erebo al fondo.

Giacchè guidotti qui nemica stella
Ecco la barca mia spedita al corso;
Ma della salma che ti veggo in dorso
Ti bisogna pagar qui la gabella.

Lo scrignuto rispose con paura:
Quel che tu vedi in me non è già robba,
E non tel vo’ negar, è vera gobba,
Che per scherno mi fece la natura.

Lo pon Caronte in barca, e mentre a volo
Per l’altra riva va l’onde frangendo,
Verso quel passaggier la man stendendo
Disse: pagami presto ora il mio nolo.

Ma confuso rispose il malandrino:
Molto nel mondo, è vero, vivo rubai,
Ma in prendermi piacer lo dissipai;
Per pagarti non ho pur un quattrino.

Non ebbe il barcaiuol pii costumi;
Onde irato soggiunse al gobbo afflitto:
Io pago a Ser Mercurio un grosso affitto
Tu il battello passar franco presumi?