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L’Isola sospirò che dal suo seno
Al mondo partorì sì fiera peste:
E piansero le ville afflitte e meste
Al ruggir di Mavon d’ira ripieno.

Soggiunse allor piangente Tossicia:
Dall’idra intossicar cogli occhi miei
La nobiltà vedrò de’ semidei,
E struggeralli il mal di tisicia!

Quindi spezzar sentiss’in guise strane
Pietracamela per lo gran cordoglio:
E più pianto stillò, che giammai oglio
Non suole consumar chi fa le lane.

Con strida risuonò tutto Canzano,
Che vide da vicin doglie future:
E per piangere ancora le sue sventure
Non bisognar cipolle a Leognano.

Giunse a Poggio Morello il fier destino:
Di Sant’Egidio, ancor di Sant’Omero
La grande santitade, a dire il vero,
Odon martirizzò, nuovo Ezelino.

Li Colli, Colledoro, e Palombara,
Acquaviva, li Rossi con Capsano,
E Chiarino col suo vicin’Ornano
Insieme lagrimar la sorte amara.

A scriver di Castelli in questo loco
L’afflizion per questo fiero mostro,
In ogni calamar scars’è l’inchiostro;
Ed è meglio tacer che dirne poco.

Nemmen descriver vo’ quella tenzone.
Che pel suolo natio ebbe primiero
Con tal goffo pigmeo il Grue altero;
Chè troppo tempo vuol la narrazione.

Del duolo universal furon motivi
Le gravi estorsioni e le rapine;
E le calunnie ancor, che quasi spine
Trafissero pungenti il cor de’ vivi.

Alla provvida Parca alfin già piacque
Con forbice fatal render reciso
Quel mal filo vitale all’improvviso,
E alla stalla, qual porco, estinto giacque.