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La nomina di questi sei si presenta al signor Vicerè; il

       Governo Vicereale. La Storia viceregnale, che ebbe principio nel mese di maggio dell’anno 1503 abbraccia il lungo periodo di 232 anni, nel quale i fieri proconsoli inviati al nostro reggimento, comechè di nome, d’indole, di genio diversi, tutti appaion fermi a compiere l’atroce impresa di spegnere in questa bella e ricca regione ogni alto sentimento che mal si affacesse al pacifico servaggio addimandato dall’orgogliosa metropoli; di accostumare le genti a gretto e disperato vivere; di distruggere la naturale fortezza di animo che fece i padri nostri gloriosi sì nelle arti della pace, e sì in quelle della guerra; di tener sempre vivo ed acceso il fuoco delle domestiche dissensioni, e di far esso abominevole sussidio all’imperio. Prove ne siano le leggi di quella tristissima età, la più parte scritte col sangue, come si disse delle antiche di Dracone, per rendere colla severità delle pene aspri i dolci e miti costumi d’un popolo vivace, gaio, docile, immaginoso e punto non inchinevole alle cupe e feroci passioni che mal potrebbero allignare in questa terra felice e sotto questo cielo beato. Se le pratiche di quella trista politica non giunsero a snaturare del tutto gli animi, valsero non pertanto a rendere squallido e deserto il nostro bel paese; il cui ozio fu tanto celebrato da’ romani poeti Virgilio, Orazio, Silio Italico e Stazio.
       Difatti, sottoposto questo paese a Monarchi lontani; affidato a mani straniere ora deboli, ora crudeli, facevano i Vicerè della sovranità lo strumento di vandaliche oppressioni. Rarissimi furon coloro che si sforzarono, durante il loro governo, a renderlo men duro ed a volgere lo sguardo alla pubblica prosperità; gli altri, de’ quali molti tristi, parecchi pessimi, non fecero che accumulare sulle misere popolazioni tutti gli orrori d’una straniera dominazione. Prove ne furono i lidi esposti a’ saccheggi ed alla schiavitù di corsari africani; il traffico delle granaglie divenuto il monopolio di pochi, lasciate in abbandono le migliori terre da coltura, e convertite in boschi e paludi; a lungo tempo vendute le regalie; alienate non poche città demaniali; posti a mercimonio i titoli ed i pubblici uffizi; introdotte nuove imposte fiscali; depresse le lettere, le scienze e le arti; l’ozio ed il vagabondaggio tollerati senza rossore. Da ciò, malcontento, penurie, pestilenze, e popolari tu-