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ed eliggono due; ed a questi si dà facoltà di eliggere il

       Aragonesi. Costoro regnavano nella Sicilia oltre il Faro, sin dal tempo della divisione della monarchia, imperando Carlo I d’Angiò. Alfonso riunì alla corona di Palermo anche l’altra di questa nostra Sicilia di qua dal Faro, per l’adozione di Giovanna II, e la conquista che fece cacciando i signori Angioini. Così, nel 1442, Napoli fu posta sotto il dominio degli Aragonesi, e vide dipoi cinque Re di questa dinastia succedersi nel breve periodo di cinquantanove anni.
       Primo pensiero d’Alfonso fu di stringersi in pace ed amicizia con la corte romana; imperocchè egli non disconosceva di quanto valore ciò fosse. Ebbe l’investitura da Eugenio IV nel congresso di Terracina al 1443, ma col patto di menar le armi Aragonesi e Siciliane nella Marca d’Ancona, e toglier di signoria Francesco Sforza, soldato di ventura, il qual salilo al trono mercè l’ingegno e il suo braccio gagliardo, ne additava la via a tutt’i valorosi, con rovina di coloro che dovean la lor potestà al diritto della nascita. Riposatosi dipoi dalle fatiche, ed ordinate cose di Puglia, volle rendere anche salda la successione del figlio. Ciò fece alterando le forme dell’antica costituzione, come colui che non chiamò al parlamento i Vescovi, i Baroni e i deputati delle città e terre sì demaniali che feudali, ma solo alcuni baroni in particolare assemblea. Così adempito al primo scopo, nelle leggi che dettò procedette a nuove riforme, onde vennero meno molti statuti pubblici e civili degli antichi Re. Non distolto e molestato da guerre, volse l’animo all’incremento della Monarchia, già scaduta per la debolezza degli ultimi reggitori; ma con ciò introdusse nuove private gare e dissensioni, perchè i baroni napolitani, mal comportando la superbia de’ baroni spagnuoli, gli odiavano; onde tra le due Sicilie pigliavan nuova forza i vecchi rancori angioini, che appresso dovevano scoppiare con ricordevole danno.
       Le opere di lui molto minutamente raccontarono i nostri storici, le quali più che alle vicende politiche del reame, importano alla storia della nostra civiltà: ma quantunque coloro avessero tanto a lungo e gloriosamente toccato delle virtù e delle imprese d’Alfonso, pure a noi basta notar qui, a grande sua lode, le ultime parole dirette a suo figlio, togliendole dalla cronaca di santo Antonino, Arcivescovo che fu di Firenze. Essendo il Re gravemente