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La piazza poi, o reggimento del popolo viene compo-

    sopportare il suo infortunio, si spinse abbandonatamente col cavallo in mezzo alle spade nemiche, e cadde trafitto da molte ferite. Cosi ebbe fine Manfredi, le cui civili e militari virtù trovano un’ombra nella soverchia ambizion di regnare, e nell’impeto che lo spinse ad operare a suo danno: se violò le leggi della successione, credette di farne scusa la ragion difficile de’ tempi, e il voler mantenere il trono nella Casa di Svevia. Fu dotto in filosofia e nelle matematiche, e dei dotti uomini amantissimo; liberale, non che generoso; più che splendido, magnifico, e l’attestano il porto di Salerno e la città dì Manfredonia, sue egregie opere. Biondo era e bello di persona e di gentile aspetto, umano ed affabile con tutti, e sempre ridente, e di mirabile ed ameno ingegno. Se per temporali ragioni visse diviso dalla Chiesa, nondimeno si apparecchiò in vita il suo sepolcro nel santuario di Montevergine, cui fu sempre devotissimo. Ma la sua sventura lo privò eziandio di quella fossa presso il ponte di Benevento, dove fu gittato e coperto di sassi. L’Arcivescovo dì Cosenza, perchè quella era terra della Romana Chiesa, fece di là torre le ossa, e a lume spento spargerle in riva al fiume Verde al confine del regno.
       Gli Svevi che governarono per settanta anni le nostre contrade ornarono di un nuovo pregio il reame dì Sicilia, e fu quello della corona di Gerusalemme, Ciò provenne da Federico, il quale, impalmando Iole figlia di Giovanni di Brienne, Re di Gerusalemme per parte della moglie, che fu sorella a Baldovino, stato Re in Terrasanta, domandò che il suocero investisse lui del diritto a quel regno, come per dote della figliuola. Furono conservati i medesimi magistrati de’ Re normanni, se non che Federico meglio ne diffinì la giurisdizione, ordinando ancora in Napoli una gran Corte da decidere le cause più gravi, e in Capua un altro tribunale che fu dello Corte-capuana. Pose pure un tribunale di conti, retto da maestri ragionieri. Ma quello perchè si rendette più illustre fu il codice che volle di leggi, maraviglioso per l’età sua. Dopo di aver aggiunto ì suoi decreti ad altri molti de’ primi tre Re normanni, adunato un general parlamento in Melfi, pubblicò in un volume i tre libri delle nuove costituzioni con queste parole: Prendete di grato animo, o popoli, queste costituzioni, da valere tanto ne giu-