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e sono, per dirle con l’ordine loro: di Capovana, della Montagna, di Nilo, o Nido, di Porto, e di Portanova.

    antiche civili virtù. Corsero ambidue in Pisa; ma quella repubblica, spossata da lunga guerra contro i Genovesi, non potea porgere ascolto al Duca, che perorava la causa d’Italia, or minacciata dalle armi d’ambizioso forestiere. Alla mancanza degli sperati aiuti, Roberto e l’Arcivescovo della ducea si rivolsero a Lotario Imperatore, perchè soccorresse gl’infelici Napolitani, stretti dai travagli di crudele assedio. La città era caduta in lacrimevoli condizioni; mancati i viveri, le donne, i vecchi e i fanciulli cadevano su le piazze, vittime della fame, lo squallore era dipinto sul volto dei sacerdoti, e dappertutto suonavano disperati lamenti. Ma Sergio ed i trecento uomini che avanzavano in istato di portar le armi, richiamando i cittadini a’ sentimenti dell’onore, venivanli confortando con la speranza de’ prossimi soccorsi, e con ciò ch’eglino, non tralignando dagli antichi costumi, avrebbero preferito morir di stenti, anzichè accollarsi il giogo d’abborito nemico. Difatti giunse una flotta da Pisa ed una banda d’Imperiali: i Normanni ne furono sgomentati; ma poco dipoi, per male intelligenze, partiti i Pisani e gli Alemanni, venuto invece Papa Innocenzo con poche armi, quelli ripresero la prima fortuna. Napoli era uscita di speranza. Sergio, coperto il viso di cenere, raccolse il parlamento, e depose nelle mani del popolo la Ducal dignità; dipoi annunziando a’ Napolitani che quello era l’ultimo giorno della loro repubblica, si precipitò fuori del campo, desideroso di non sopravvivere alla caduta della città. Gli scheletri, anzichè uomini che rimanevan vivi dopo la lunga fame, cedettero il Ducato al Re Ruggiero nel 1130.
       Questo Ruggiero che, nato nella città di Mileto, fu tenuto al sacro fonte da S. Brunone, e che in vita si ebbe per confessore S. Guglielmo da Vercelli, era figliuol di un altro Ruggiero, cui Urbano II concedette perpetua legazione in Sicilia, già essendone per conquista divenuto gran Conte. Il quale, ultimo a venire in questi luoghi, fu anche l’ultimo fratello del celebre Roberto Guiscardo, che all’anno 1053 con cinque soli cavalieri e trenta fanti, lasciato il padre Tancredi d’Altavilla in Normandia, corse invin-