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rivato che ne’ tempi andati non venivano ascritti nelle piazze nobili, se non quelli, ohe vivevano da militi, more

    scoppio di fulmine: corsero i Napolitani furibondi alla Stefania ora il Duomo, dove eran soliti risedere i Duchi, e, levati a grandissimo furore, obbligarono Gontardo che scendesse alla difesa; ma non sì tosto l’ebbero veduto apparire, con tutto che fosse circondato dalle sue lance francesi, gli si gettarono sopra furiosamente, percuotendolo a morte. Neil’ira del popolo cadde ancora la Duchessa, la quale, siccome apertamente dicono i nostri cronisti, avea tenuto mano a Gontardo nella usurpazione della Ducea.
       Ciò accadeva dopo tre giorni che il Cavalìer francese si fu intruso nel reggimento de’ Napolitani, e lo stesso giorno della sollevazione era innalzato Sergio I nel legittimo dominio. Il ritratto del giovane Duca è dipinto dagli storici di quel tempo co’ più belli colori dei medio evo: egli discendeva da antichissima famiglia napolitana, ed esercitandosi a gran lena nelle scienze, con rara perfezione usava nelle sue scritture la lingua greca e latina; di felicissimo ingegno ne’ provvedimenti guerreschi, aveva una straordinaria forza nella persona, e non meno valente era nelle cose di pace; ebbe grande considerazione presso Papa Gregorio IV, e gl’imperatori Ludovico I e Lotario I; onde amato e temuto regnò, e venuto a morte con infinito dolore de’ Napolitani, lasciò il Ducato a Gregorio I suo figlio nell’anno 862. Nel costui reggimento venne Ludovico II Imperatore nelle nostre contrade, ed alle sue avendo unito le armi del Duca, fece guerra a’ Saracini, cacciandoli fin dalla Calabria. Non fu benigno Sergio II come il genitore, a cui succedette nell’867. Egli è chiamato da’ nostri or Duca, or Maestro de’ militi ed ora Consolo. Il padre avevalo raccomandato al Vescovo Atanasio, altro figlio di Sergio I; ma egli fu ribelle alle cure dello zio, e tanto molesta gliene addivenne la voce, che il velle finalmente in carcere. I Napolitani, punti dallo scandalo, si levarono a rumore; il clero greco e latino, i monaci e le stesse donne si radunarono innanzi al palagio, ed un venerando vecchio chiesastico domandò la liberazione del Prelato con autorevoli parole. Sergio lo tolse di prigione, ma il santo Vescovo, vedendosi anche impedito e vegliato temerariamente nell’Episcopio, si rifuggì nell’isoleita del Salvatore, e dipoi, non riposando ivi nem-